Tiberio Sempronio Gracco era figlio di un buon plebeo e nipote del grande Scipione l'Africano, noto per le sue idee democratiche. Quando venne eletto tribuno della plebe, nel 133 a.C., non aveva comprato neanche un voto, e si era già distinto nell'assedio di Cartagine e nella guerra in Spagna, ed era stato un irreprensibile questore. Tornato in Italia, Tiberio Gracco si rende conto che il paese era socialmente allo sfascio, in quanto i nobili si erano impadroniti illegalmente di immensi terreni dell'agro pubblico, approfittando delle lunghe assenze in patria dei contadini-soldati. Anticamente lo Stato suddivideva i campi conquistati tra i soldati, ma le continue guerre avevano finito con l'arricchire solo chi era già ricco, facendolo diventare un grande latifondista. Erano i debiti a rovinare i piccoli proprietari. Roma si era riempita di ex proprietari rifugiatisi in città per vivere di espedienti o di clientelismo; restando in campagna sarebbero divenuti coloni di un ricco proprietario che al massimo li avrebbe pagati con l'ottava parte del raccolto. Oppure avrebbero fatto la vita del bracciante, il che era peggio che fare lo schiavo, in quanto non si aveva alcuna garanzia sul vitto e l'alloggio. Influenzato dalle idee di due filosofi stoici, Diofane di Mitilene e Blossio di Cuma, Tiberio Gracco progetta una riforma di legge che non permetta di possedere più di 250 ettari di terra, dimodoché il surplus avrebbe dovuto essere ridistribuito in lotti inalienabili di sette ettari ciascuno, il minimo per far sopravvivere una famiglia. La riforma agraria viene approvata dal popolo con uno storico plebiscito. Ma un collega di Gracco, il tribuno Marco Ottavio, latifondista e "uomo di paglia" degli aristocratici, gli pone il veto, che è vincolante.
QUAL'E LA VOSTRA PARTE DI STORIA CHE VI PIACE DI PIU
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